Page 82 - Le Riflesione su San Giuseppe
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Mettersi in ascolto della Parola di Dio per esserne illuminati. È la Parola stessa, ci dice la Lettera agli
Ebrei (4, 12), che: “è viva ed efficace, più tagliente di ogni altra spada a doppio taglio; essa penetra
fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti
e i pensieri del cuore”. È Dio che per primo parla all’uomo e che per questo chiede d’essere ascoltato,
accolto. Potrebbe accadere di dimenticare che la preghiera cristiana è prima di tutto ascolto.
Preferendo dire a Dio: “Ascolta, Signore, perché il tuo servo ti parla”, piuttosto che: “Parla, Signore,
perché il tuo servo ti ascolta” (1Sam 3,9).
DALLA PAURA AL CORAGGIO
Giuseppe è l’uomo dell’ascolto, o meglio: il sapiente, colui che riconosce in Dio la certezza di un
affidabile alleato. In cosa Giuseppe di Nazareth può illuminarci in questo tempo di pandemia? Il
documento Conciliare Gaudium et Spes in tal senso sembra spianare il cammino della nostra
riflessione, quasi facesse da premessa alle scene evangeliche su richiamate. Così esordisce il proemio
della Costituzione (n.1): “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei
poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
La loro comunità, infatti è composta da uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo
Spirito santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di
salvezza da proporre a tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano
e con la sua storia”.
In questi mesi di pandemia tutti ci siamo chiesti il senso di un’esperienza così imprevedibile
e tragica. L’immagine emersa tratteggia tutta la fragilità umana le cui conseguenze nella più alta
probabilità accompagneranno nel futuro. Sofferenze profonde, come la morte di persone care,
soprattutto di anziani; l’assenza di quella prossimità familiare essenziale in momenti di paura,
sgomento, smarrimento; il senso d’impotenza di medici, infermieri e ogni operatore istituzionale; i
dubbi e le crisi di fede; la perdita del lavoro; la limitazione delle relazioni sociali. La pandemia avrà
sicuramente risvegliato chi pensava di poter dormire sicuro sul letto delle ingiustizie e delle violenze,
della fame e della povertà, delle guerre e delle malattie: disastri causati in buona parte da un sistema
economico-finanziario fondato sul profitto, che non riesce a integrare la fraternità nelle relazioni
sociali e la custodia del creato. Il Coronavirus ha scosso la superficialità e la spensieratezza,
denunciando un’altra pandemia, non meno grave: quella dell’indifferenza.
Sappiamo però che il cristiano è chiamato a riconoscere e interpretare i segni dei tempi,
invocando il dono del discernimento. Da ciò è possibile provare a cambiare prospettiva, non
fissandosi sulle cause e gli effetti, quanto sulla possibilità consegnataci di essere custodi della vita.
Il coronavirus, pur con tutta la drammaticità che ci ha travolti, ha però restituito a ciascuno
una qualche possibilità… La più evidente agli occhi del cristiano sarà certamente stata quella di
recuperare una realtà fondamentale: l’operare di Dio.
La domanda viene da sé: quel che sta accadendo può considerarsi opera di Dio? Domanda
legittima, che apre ai nostri occhi, orizzonti di speranza; diversamente forse dall’istintiva supplica di
liberarci da questo evento pandemico, che rinchiuderebbe nello sgomento e nella paura cieca, in attesa
di un qualche segno dal cielo.
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