Page 53 - Le Riflesione su San Giuseppe
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L’occasione che genera questa lettera è una situazione di contingenza pratica. Don Cortona aveva
                 sottoposto al Padre Fondatore una serie di progetti riguardanti l’ampliamento della Casa di Santa
                 Chiara in Asti, per far fronte alle crescenti necessità della Congregazione. Si aveva a disposizione
                 una certa somma di denaro, che generava un certo entusiasmo in don Cortona e in altri Fratelli; ma
                 era, tuttavia, insufficiente a coprire tutta la spesa preventivata e quella che poteva manifestarsi a
                 seguito  di  imprevisti.  Per  questo  il  Marello,  che in  altri  tempi  si  era  manifestato  coraggioso  e
                 intraprendente, sostenuto ed animato dalla fiducia che in Dio riponeva, in questo caso sconsiglia
                 l’esecuzione dei lavori qualora non si fossero trovate le necessarie coperture economiche, anche per
                 non offuscare l’immagine di affidabilità e di povertà che bisognava trasmettere ai cittadini di Asti.
                 Tuttavia, il suo ragionamento, ispirato a grande saggezza e prudenza, si conclude poi con queste
                 parole: “fermiamoci ed attendiamo che S. Giuseppe ci faccia sentire la sua voce”. L’affidamento
                 totale a San Giuseppe invita a non avere fretta, ma, piuttosto, ad attendere fiduciosi la risposta della
                 Provvidenza divina, attraverso la mediazione del Patrono: “San Giuseppe che ha provveduto finora
                 provvederà certamente anche per l’innanzi”, scriverà il Padre in una lettera successiva (lettera 240).

                 Il testo della lettera continua evidenziando il momento di grande fermento che si viveva in Santa
                 Chiara in quei giorni: “Siamo nel suo bel mese; D. Cortona ne predica le glorie; i Fratelli e tutta la
                 casa ne invocano a cuori uniti la protezione: Frat. Stefano gli offre in omaggio le sue tribolazioni e
                 Frat. Massimo, se Egli in nome di Dio lo chiede, anche il sacrifizio - doloroso ma ad un tempo
                 glorioso - della stessa sua vita”. Perfino, la sofferenza di due Fratelli (che di lì a poco moriranno)
                 diventa un omaggio al santo Patrono.


                 In questo contesto di “dolori e allegrezze”, preoccupazioni e gratificazioni, ecco che il Fondatore
                 conclude la sua lettera mettendosi idealmente accanto ai suoi Figli e invitandoli alla fiducia estrema
                 nella guida di San Giuseppe: “Diremo dunque al nostro Grande Patriarca: Eccoci tutti per Te e Tu
                 sii tutto per noi. Tu ci segna la via, ci sorreggi in ogni passo, ci conduci dove la Divina Provvidenza
                 vuole che arriviamo, sia lungo o breve il cammino, piano o malagevole, si vegga o non si vegga per
                 vista umana la meta. O in fretta o adagio noi con Te siam sicuri di andar sempre bene”.



                        2.     LA “TEOLOGIA GIUSEPPINA” DEL FONDATORE

                 Nella preghiera che stiamo esaminando emerge da subito il concetto e il ruolo di “guida” che il
                 Fondatore attribuisce a San Giuseppe. Questa idea è associata al fatto che il Marello intende la vita
                 spirituale come un “cammino”, che necessita, quindi, di qualcuno che faccia da guida.

                 Ora, per il Fondatore, non vi è dubbio che la guida per eccellenza è lo Spirito Santo. Ci è stata riportata
                 una sua omelia bellissima (19 maggio 1889, Scritti pag. 344) che è tutta una testimonianza vigorosa
                 sull’azione di “guida” che lo Spirito ha nella nostra vita. Da questo testo abbiamo recuperato anche

                 quell’invocazione  allo  Spirito  che  siamo  soliti  utilizzare  nei  nostri  incontri.  Tuttavia,  il  Marello
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                 associa allo Spirito Santo, in questo compito di guida, anche la Vergine Maria e San Giuseppe.




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                  “E Maria? Senza di Lei madre amorosissima come avrem cuore d’incamminarci, poveri fanciulli, per vie inesplorate?
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                 (Lettera 26, a don Stefano Delaude, 11 gennaio 1869)
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