Page 39 - Le Riflesione su San Giuseppe
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GIUSEPPE, UNO DI NOI
                 Padre Alberto Barbaro, OSJ

                 Mentre pensavo a cosa scrivere e quale contributo dare per la nostra riflessione su San Giuseppe mi
                 sono reso conto di essermi cacciato in un grande pasticcio. La ragione è che su questo Santo non
                 abbiamo a disposizione molto materiale. Di Giuseppe di Nazareth cosa sappiamo? Oltre al nome e ad
                 alcune vicende legate all’infanzia di Gesù, non abbiamo altre significative notizie. Non dice una
                 parola. Nell’episodio dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù al tempio tra i dottori (cfr. Lc.
                 2,41-59), è la Madre che richiama il figlio, non il Padre: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco,
                 tuo padre e io angosciati ti cercavamo”. Parla poco, anzi dice niente e il suo linguaggio è il silenzio.
                 In compenso però è un buon ascoltatore. E’ attento alla voce dell’angelo che gli parla nel sonno.
                 Inoltre si rivela un ottimo esecutore di ordini ogniqualvolta il Padre eterno gli chiede qualcosa.


                 In ultimo svolge un lavoro manuale espresso nelle forme più modeste e più faticose, quelle che valsero
                 a Gesù la qualifica di «figlio del falegname» (cfr. Mt. 13, 55). Il problema è che la vita di quest’uomo,
                 quella di un semplice artigiano, è priva di qualsiasi nota di rilievo. In qualche modo mi sembra di
                 rivivere lo stupore degli abitanti di Nazareth quando ascoltando Gesù, si interrogano sulla sapienza
                 di questo straordinario personaggio, sapendolo il figlio del carpentiere. Come per dire che da una vita
                 normale è quasi impossibile ricavare qualcosa di utile e di buono. Eppure questa figura così vicina a
                 Gesù e a Maria, inserita nella genealogia messianica, se scrutata con attenzione, si rivela così ricca di
                 elementi e di significati, che solo i semplici e gli umili sanno riconoscere, apprezzare e fare propri.
                 Sono soprattutto i semplici, e Giuseppe è tra questi, a dirci che ci sono due modi di intendere e vivere
                 la vita che ci è stata data in dono. Uno è pensare che niente sia un miracolo, l’altro è convincersi che
                 ogni cosa sia un miracolo. Per appartenere a quanti sono persuasi che tutto sia un miracolo, bisogna
                 cogliere la differenza che intercorre tra vivere ed esistere. Giuseppe appartiene a quanti credono che
                 tutto sia un miracolo perché ha vissuto una bella vita. Oscar Wilde era del parere che vivere è la cosa
                 più rara sulla faccia della terra. La maggior parte della gente oggi esiste soltanto. Noi, pur non avendo
                 scelto di vivere, dobbiamo imparare a vivere. Se esistere è un dato di fatto, vivere è invece un’arte.
                 Coloro che vivono e credono che tutto sia un miracolo non sono dei visionari o dei sognatori ad “occhi
                 chiusi”,  essi  appartengono  alla  schiera  di  quanti  non  vogliono  perdere  l’appuntamento  con  la
                 normalità.  Infatti  oggi,  il  vero  problema  è  questo:  rischiamo  di  sganciarci  definitivamente  e
                 irreparabilmente dalla vita di ogni giorno, e per questa ragione i sogni non si realizzano.


                 L’esistenza  di  Giuseppe  oltre  ad  essere  stata  “feriale”,  è  un  costante  e  continuo  richiamo  alla
                 normalità. Se vogliamo essere felici per un giorno è sufficiente organizzare una festa. Se questa
                 felicità vogliamo che duri due settimane circa, basta andare in crociera. Se poi vogliamo che duri un
                 anno, bisogna ereditare una fortuna. Se il nostro desiderio è che duri tutta la vita, urge allora dare alla
                 nostra  vita  uno  scopo  degno  di  essa.  Giuseppe  ha  dato  uno  scopo  alla  sua  vita,  fidandosi
                 completamente del Signore. Obbedendo al volere divino, il nostro falegname di Nazareth ci insegna
                 innanzitutto  a  vivere  saggiamente  e  con  profondità.  Il  suo  esempio  ci  mette  in  condizione  di
                 comprendere che una vita piena consiste ad esempio, nel mitigare la sofferenza che è nelle persone
                 che incontriamo e destare fiducia in coloro che avviciniamo. Per un papà e una mamma, come lo
                 furono Giuseppe e Maria, significa non limitarsi a guardare i loro bambini, ma a contemplarli perché
                 espressione di una innocenza e di una purezza che chiede di riemergere anche in noi che l’abbiamo

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