Page 29 - Le Riflesione su San Giuseppe
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al suo padre legale si realizza l'osservanza perfetta del quarto comandamento. Tale sottomissione è
l'immagine nel tempo della obbedienza filiale al suo Padre celeste. La quotidiana sottomissione di
Gesù a Giuseppe e a Maria annunziava e anticipava la sottomissione del Giovedì Santo: "Non... la
mia volontà ..." (Lc 22,42). L'obbedienza di Cristo nel quotidiano della vita nascosta inaugurava già
l'opera di restaurazione di ciò che la disobbedienza di Adamo aveva distrutto» (n. 532).
L'Esortazione apostolica Redemptoris custos segue la stessa linea di spiegazione, sviluppando il tema
della «sottomissione» sul piano storico. «Questa "sottomissione”, cioè l'obbedienza di Gesù nella
casa di Nazaret, viene intesa anche come partecipazione al lavoro di Giuseppe. Colui che era detto il
"figlio del carpentiere" aveva imparato il lavoro dal suo "padre " putativo. Se la Famiglia di Nazaret
nell'ordine della salvezza e della santità è l'esempio e il modello per le famiglie umane, lo è
analogamente anche il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Nella nostra epoca la Chiesa
ha messo ciò in rilievo pure con la memoria liturgica di san Giuseppe Artigiano, fissata al 1° maggio»
(n. 22). Ecco allora che in ordine a questa «sottomissione», necessaria nell'economia della salvezza,
la presenza di Giuseppe accanto a Gesù non è affatto decorativa.
In relazione alla redenzione del lavoro. Giuseppe è stato minister salutis a duplice titolo. Il primo è
più conosciuto. Si tratta del lavoro, considerato da Giovanni Paolo II come espressione dell’amore,
lavoro «mediante il quale Giuseppe cercava di assicurare il mantenimento alla Famiglia». Già questo
titolo gli merita da parte della Chiesa la memoria nel sacrificio eucaristico, accanto a quella della
gloriosa sempre vergine Maria, perché Giuseppe «nutrì colui che i fedeli dovevano mangiare come
pane di vita eterna» (Redemptoris custos, n, 16; cfr. n.6).
Il secondo titolo, più intimamente legato al lavoro «assunto» da Gesù, consiste nel fatto che proprio
«grazie al banco di lavoro presso il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe
avvicinò il lavoro umano al mistero della redenzione» (Redemptoris custos, n.22). In questa
affermazione appare chiaro che, in base al principio «ciò che è assunto, è redento», Gesù ha voluto
sottomettersi personalmente alla legge del lavoro pei «purificarlo e santificarlo», servendosi a tale
scopo del ministero di Giuseppe: «Da parte sua, Gesù "era loro sottomesso" (Lc 2,51), ricambiando
col rispetto le attenzioni dei suoi "genitori". In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del
lavoro, che prestava accanto a Giuseppe» (Redemptoris custos, n.16). Poiché non c'è nessun dubbio
che questa sia pura teologia, meraviglia come essa non sia presente e valorizzata nei catechismi e nei
testi scolastici che trattano il mistero dell'Incarnazione, al quale direttamente appartiene. Quanto detto
vale per la presenza di san Giuseppe nella vita di Cristo, aspetto messo in particolare evidenza
nell'Esortazione apostolica Redemptoris custos, interamente focalizzata sul mistero
dell’incarnazione.
Ma che cosa dire della presenza di san Giuseppe in relazione al lavoro per quanto riguarda la vita
della Chiesa? In altre parole, che cosa dice la figura di san Giuseppe ai cristiani di oggi?
Pio XII, il 1° maggio 1955, in occasione del X anniversario delle Associazioni Cristiane dei
Lavoratori Italiani (ACLI), riproponeva san Giuseppe come patrono e modello degli operai e istituiva
la festa liturgica di «San Giuseppe Operaio». La sua importanza in quel particolare momento storico
è sottolineata dal fatto che il 24 aprile 1956 un decreto della Congregazione dei Riti la sostituiva alla
solennità di san Giuseppe, assegnandole il rito doppio di prima classe. Le cose cambiano nel
Calendario promulgato da Paolo VI nel 1969: il 1° maggio viene ridotto a «memoria ad libitum».
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