Page 165 - Le Riflesione su San Giuseppe
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studio del Catechismo e del metodo di insegnarlo fruttuosamente e si esercitano nelle sacre cerimonie
e nel canto ecclesiastico. Gli Oblati di S. Giuseppe, cresciuti di numero, hanno potuto dare maggior
sviluppo al Collegio di S. Chiara. Nell’anno 1888 gli alunni oltrepassavano già il centinaio. Unendo
a questi gli orfani ricoverati nella casa si aveva un complesso di 140 giovani istruiti di Fratelli nelle
classi elementari e da Insegnanti patentati nelle classi più alte. Nel 1892 il numero crebbe a 160 e non
potendosi far salire più alto per deficienza di locale si pensò all’apertura di un altro collegio. La
Provvidenza venne in aiuto. Si acquistò nel comune di Frinco un vasto Castello a condizioni
favorevolissime e vi si iniziò il Collegio succursale di S. Chiara nell’anno scolastico 1893- 1894.”
4. Ricordando la prima lettera del Fondatore nel 1877, che contiene l’intenzione di fondare la
Congregazione(CA 5/78).
Da una Circolare di P. Luigi Garberoglio in occasione del primo Cinquantenario della
Congregazione (Asti, 30 maggio 1928): “Il nostro buon Padre- Fondatore, sebbene non intendesse
fondare una Congregazione di monaci e di claustrali, ma di Sacerdoti e Fratelli che si adoperassero
nei vari ministeri in servizio di S. Chiesa e specialmente a bene della gioventù maschile, voleva però
che nella nostra casa e da ciascun Oblato di S. Giuseppe si attendesse alla vita interiore e alla regolare
osservanza come si suppone debba farsi dai claustrali e dai Certosini in particolare. E con savio
avvisamento, perché, sebbene scopo della nostra Congregazione sia lo zelare in vari modi la salvezza
delle anime, questo però non è il fine primario, il quale invece consiste nel procurare la salute e la
santificazione dei singoli componenti la Congregazione, che per ciò si sono ritirati dal mondo e
consacrati alla vita religiosa, per attendere ex professo all’acquisto della propria perfezione. Quali
che siano adunque i nostri impegni in servizio del prossimo, davanti a Dio e alla nostra coscienza non
ci possono dispensare dall’attendere a noi stessi, ingiungendoci la carità ordinata di provvedere prima
alle necessità ed esigenze dell’anima nostra e poi degli altri, poiché sarebbe un vero disastro per
ciascun di noi se “foss’anche per guadagnare tutto il mondo a Gesù Cristo, la anima nostra n’avesse
poi a patire detrimento”. Se quindi per lo spirito stesso della nostra vocazione noi siamo apostoli,
perché facendoci Oblati di San Giuseppe assumemmo l’impegno di lavorare in servizio di S. Chiesa
conforme allo scopo della congregazione, a corrispondere però al fine primo e principale della
vocazione religiosa dobbiamo coltivare e vivere la vita interiore per santificare noi stessi e render
anche più fruttuoso il nostro ministero, secondo quel dello di N.S. Gesù Cristo: “Qui manet in Me et
Ego in eo, hic fert fructum multum” (Io XV,5). Diportarci altrimenti sarebbe un voler trattare queste
imprese di apostolato e di gloria di Dio alla stregua degli affari mondani, condannando all’insuccesso
e al fallimento la nostra provvidenziale missione, e noi stessi alla più gran delusione: perché troppo
tardi ci accorgeremmo finalmente che, spendendoci nelle varie opere senza darci pensiero di
santificarle con la pratica della santa orazione e della vita interiore, abbiamo forse cercato in essi la
nostra soddisfazione anziché la volontà di Dio, l’appagamento delle nostre inclinazioni più che il vero
bene delle anime, restando allora amaramente delusi di apprendere, pressochè al termine della nostra
vita, d’averla spesa a servire il nostro amor proprio, e non Iddio, dal quale pure ci andavamo
falsamente lusingando d’averne a ricevere lode e premio. “Videte vosmetipsos, - vi dirò dunque con
l’Apostolo S. Giovanni – ne perdatis que operati estis, sed ut mercedem plenam accipiatis” (II, Io.
V.8). A scongiurare una sì rovinosa delusione e ad assicurarci la più ampia mercede in Paradiso si
rende assolutamente necessario, o cari miei Confratelli, che di quando in quando ci richiamiamo ad
una vita sinceramente da religiosi, riformando il nostro modo di pensare, di parlare e di operare in
comunità dei principii e delle massime del S. Vangelo che noi apprenderemo nelle devota quotidiana
meditazione. Or, io, ben conoscendo le occasioni di dissipazioni e anche di tentazioni, fra cui vi
aggirate, dovendo occuparvi di tante cose, molte delle quali profane di loro natura, per quanto oneste
ma non affatto scevre di pericoli per la nostra fragilità, vi raccomando, anzi vi prego, di attendere con
impegno a questa vita interiore, di cui è maestro S. Giuseppe e modello il venerato nostro Fondatore
e che ci è troppo indispensabile a conservare in noi lo spirito religioso e la rettitudine e la mondezza
del cuore. Non sarà un fuor di luogo adunque che io vi rammenti la necessità di esser raccolti,
silenziosi, pii ed osservanti come tanti certosini, vivendo noi da religiosi e facendo delle nostre case
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