Page 117 - Le Riflesione su San Giuseppe
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L’IMITAZIONE DI SAN GIUSEPPE
                 P. Tarcisio Stramare, OSJ


                        La denominazione che ci qualifica - “Oblati di San Giuseppe” - comporta logicamente che
                 noi  conosciamo  san  Giuseppe  e  che  lo  onoriamo,  imitandolo  e  diffondendone  la  devozione.
                 Conoscenza, imitazione e devozione sono strettamente collegate: o si sostengono a vicenda o insieme
                 cadono.
                        Le nostre Costituzioni e il Regolamento Generale sottolineano l’uno o l’altro dei tre elementi,
                 in conformità all’argomento trattato; la loro ricerca è facilitata dall’”Indice Analitico” (Regolamento
                 Generale, pp. 81-134).


                        Per quanto riguarda “l’Imitazione di san Giuseppe”, se ne fa scaturire giustamente l’esigenza
                 dalla natura stessa dell’Istituto: “Gli Oblati di San Giuseppe, fedeli al carisma del Fondatore, sono
                 chiamati  a  riprodurre  nella  propria  vita  e  nell’apostolato  il  mistero  cristiano  come  lo  visse  San
                 Giuseppe nell’unione con Dio, nell’umiltà, nel nascondimento, nella laboriosità, nella dedizione ‘agli
                 interessi di Gesù’” (Cost., n.3). Di fronte al mistero cristiano, l’identità dell’Oblato, che comprende
                 sia  il  suo  essere  (la  vita)  che  il  suo  agire  (l’apostolato),  è  tutta  nel  viverlo  “come  lo  visse  San
                 Giuseppe”. Tra i molteplici aspetti di imitazione del grande Santo se ne evidenziano e propongono
                 alcuni: l’unione con Dio, l’umiltà, il nascondimento, la laboriosità e la dedizione agli interessi di
                 Gesù, “spazi” privilegiati di esercitazione spirituale e morale, destinati a moltiplicarsi e ad ampliarsi
                 verso altre virtù.

                        L’aspetto cristocentrico, ovviamente primario e oggi tanto ricercato, benché già contenuto
                 nell’espressione “mistero cristiano”, viene maggiormente evidenziato nell’art. 7: “Gli Oblati scelgono
                 di  ‘seguire dappresso  il  Divino  Maestro  nella  pratica  dei  Consigli  evangelici’,  vivendo
                 ‘nascostamente e silenziosamente operosi nell’imitazione di San Giuseppe, grande modello di vita
                 povera  e  oscura’,  e  dedicandosi  all’apostolato  ministeriale  che  è  loro  proprio”.  Ritroviamo  qui
                 l’umiltà  e  il  nascondimento  (vita  povera  e  oscura),  la  laboriosità  (silenziosamente  operosi)  e  gli
                 interessi di Gesù (l’apostolato ministeriale). Trattandosi della “sequela di Gesù”, definito come “il
                 Divino Maestro”, appare chiaro che Gesù rimane l’archetipo di ogni imitazione e punto fondamentale
                 di riferimento. Come ignorare, tuttavia, la relazione singolare di Giuseppe, insieme a quella di Maria,
                 nei riguardi di Gesù?

                        Poiché san Giuseppe si è trovato, a motivo della sua paternità, a essere “il più vicino possibile
                 a Cristo” (Redemptoris custos, n.7), “nella pratica della vita religiosa gli Oblati di San Giuseppe
                 dovranno ispirarsi continuamente la loro Patrono ‘che fu il primo modello della vita religiosa, avendo
                 avuto  egli  continuamente  sotto  gli  occhi  quell’Esemplare  Divino,  che  l’Eterno  Padre  per  sua
                 misericordia volle mandare al mondo perché insegnasse la via al cielo’ (dalle Prime Regole)” (Reg.,
                 n.2).


                        Non è possibile pensare a un modello più perfetto di Gesù, dopo Maria.

                        “La sequela del Divin Maestro e la dedizione agli interessi di Gesù, nell’imitazione di San
                 Giuseppe”,  vengono  conseguentemente  richiamati  in relazione  alla  “formazione”  degli  Oblati,
                 ricordando che essa deve mirare a “l’abbandono  fedele  e obbediente alla divina Provvidenza,  la
                 pratica delle virtù dell’umiltà e della semplicità, la stima della vita nascosta e operosa, in un genuino
                 spirito di famiglia” (Cost., n.81).

                        L’imitazione delle virtù (cf. Reg., n. 1) privilegia soprattutto l’umiltà e il nascondimento, che
                 debbono caratterizzare il nostro campo di lavoro sia personale che comunitario. All’Oblato Fratello
                 si assicura, infatti, che la sua vocazione è “completa”, anche se “a somiglianza del grande patriarca
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