Page 98 - Le Riflesione su San Giuseppe
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IL LAVORO COME POVERTÀ ALLA SCUOLA DI SAN
GIUSEPPE
P. Ferdinando Pentrella, OSJ
1. Cenni sul significato del lavoro umano.
Come breve premessa tocchiamo per cenni il significato del lavoro
e dell’attività umana.
Considerato in se stesso e nei suoi effetti, il lavoro continua ad
avere un significato ambivalente : in senso positivo come
strumento di riuscita e di successo, individuale, economico e
sociale; in senso negativo come peso, sforzo, sofferenza. Risulta
anche nella Bibbia, già all’inizio della Genesi. In Gen 2,15 “Il
Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo
coltivasse e lo custodisse” : l’uomo col lavoro è associato all’opera
divina creatrice e conservatrice. Il lavoro non deriva dal bisogno o
dal peccato. Non è una costrizione. Invece in Gen 3,19 “Con il
sudore del tuo volto mangerai il pane” il lavoro, in conseguenza
del peccato, è preso come maledizione e punizione.
Nei tempi moderni però è prevalsa la considerazione positiva del lavoro, pur con tutti i diversi
problemi che continuano a sussistere. Il lavoro non è più e solo qualcosa di imposto dall’esterno, ma
è un aspetto fondamentale della natura umana. E’ una legge della condizione umana. E’ un valore
naturale, con varie dimensioni complementari : antropologica, sociale, etica. Senza il lavoro l’uomo
non si realizza e non realizza le sue opere.
Questo coincide col significato cristiano del lavoro. E’ sufficiente rifarsi a tre importanti documenti
della Chiesa : l’Enciclica “Rerum novarum” (15 maggio 1891) di Leone XIII, la Costituzione
pastorale “Gaudium et spes” (6 dicembre 1965) del Concilio Ecumenico Vaticano II, particolarmente
l’Enciclica “Laborem exercens” (14 settembre 1981) di Giovanni Paolo II sul lavoro umano. A questi
possiamo aggiungere l’Esortazione Apostolica “Redemptoris Custos” (15 agosto 1989) sulla figura e
la missione di San Giuseppe, anche come “lavoratore”, nella vita di Cristo e della Chiesa.
2. Il lavoro come povertà evangelica.
Ci rifacciamo a un interrogativo ricorrente : che senso ha la beatitudine evangelica della povertà (Mt
5,3; Lc 6,20)? Aggiungiamo : “Ha ancora un senso e un valore la nostra scelta di fare il Voto di
Povertà?”. Ai nostri giorni, in cui, oltre al resto (bisogni vari, tendenze edonistiche e consumistiche,
ecc…), siamo impegnati a combattere e a sconfiggere la povertà.
Certamente la povertà evangelica e il Voto di Povertà, che ne è una attuazione, hanno e avranno senso
e validità; ma a determinate condizioni, che dobbiamo sforzarci di vivere per evitare atteggiamenti e
situazioni di controtestimonianza.
Innanzitutto qualsiasi forma di povertà evangelica, in modo specifico il Voto, non è né un
atteggiamento negativo verso i beni del mondo né tantomeno una condizione subita, che disumanizza
e perciò va combattuta; ma è un sistema di vita continuamente e consapevolmente accettato. Costa;
ma, alla luce del Vangelo, apre a nuove dimensioni, rendendoci anche interiormente più liberi.
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